Sicurezza sostenibile

Tra Castel Bolognese e Solarolo (RA) verrà costruita una cassa d’espansione delle piene per il Canale dei Mulini.  Il progetto del Consorzio di bonifica della Romagna Occidentale prevede anche  la realizzazione di zone umide per favorire l’insediamento di fauna selvatica

Non c’è dubbio che il Canale dei Mulini di Castel Bolognese, Lugo e Fusignano sia una delle opere che più impreziosiscono il territorio della bassa pianura ravennate. Basti pensare ai numerosi manufatti e fabbricati di interesse storico che si incontrano lungo il tracciato del canale, dalla diga leonardesca nel torrente Senio all’origine, al Molino Scodellino recentemente oggetto di un’importante attività di valorizzazione, fino ai cosiddetti “chiaviconi” della Canalina in corrispondenza di quella che era l’antica foce in Reno. Non sono di minore interesse gli elementi naturalistici quali, ad esempio, l’area di riequilibrio ecologico del podere Gagliardi a monte di Lugo e la zona protetta nel tratto terminale, ora privo di funzione idraulica, compreso tra il Canale di bonifica in destra di Reno e il fiume Reno in Comune di Alfonsine.
Queste caratteristiche di pregio non devono però far dimenticare che il Canale dei Mulini è un’opera idraulica artificiale che, come tale, necessita di un’accurata manutenzione quotidiana affidata all’ente gestore Consorzio di bonifica della Romagna Occidentale.

All’originaria preminente funzione di vettore d’acqua utilizzata per generare energia motrice a servizio dei mulini è subentrata, nel corso del tempo, una funzione di adduzione dell’acqua distribuita a uso irriguo, nonché di scolo delle acque di pioggia. In particolare, quest’ultima funzione ha fatto emergere già da alcuni anni criticità legate alle trasformazioni territoriali avvenute nel dopo guerra del secolo scorso.
L’aumento vertiginoso all’interno del bacino di superfici impermeabili in sostituzione di terreni agricoli ha determinato un sovraccarico idraulico che è la causa principale dei problemi che nel corso del tempo si sono verificati soprattutto nel tratto compreso tra gli abitati di Castel Bolognese e Solarolo. Numerosi sono gli episodi di tracimazioni e fontanazzi in occasione di eventi di pioggia intensa, sempre più frequenti negli ultimi anni.

È evidente che la soluzione del problema non passa dalla manutenzione ordinaria dell’opera. Si tratta, infatti, di colmare il divario tra afflussi generati da un territorio profondamente trasformato, per non dire stravolto rispetto all’epoca di costruzione del canale, e la portata di progetto dell’opera.
A tal riguardo, la soluzione di un ridimensionamento del canale lungo i quasi 40 km dall’origine alla foce non è praticabile per evidenti ragioni tecnico-economiche. Pertanto, l’unica infrastruttura che concretamente può attenuare il grado di rischio idraulico nella zona interessata è la cassa d’espansione, vale a dire un invaso capace di contenere le portate in eccesso affluenti al canale e di restituirle al reticolo di bonifica a emergenza cessata.
Per queste ragioni, il Consorzio di bonifica della Romagna Occidentale già da tempo ha inserito la cassa d’espansione delle piene del Canale dei Mulini nelle proprie schede di programmazione di lavori pubblici. In base all’esperienza degli episodi critici verificatisi nel corso degli anni, l’ubicazione dell’opera è stata individuata tra Castel Bolognese e Solarolo. L’importo complessivo del progetto ammonta a 4 milioni di euro.

Trattandosi di opera non connotabile come manutenzione ordinaria, il relativo costo non può che essere a carico della finanza pubblica. Finalmente, con l’approvazione da parte dello Stato del “piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico”, è stato concesso al Consorzio di bonifica della Romagna Occidentale, per il tramite della Regione Emilia-Romagna, un finanziamento dell’importo di 2.775.000 euro per la realizzazione di un primo stralcio. A questo finanziamento se ne aggiunge un altro dell’importo di 600.000 euro tramite il canale della legge di contrasto agli effetti della subsidenza. Sono, quindi, disponibili complessivamente 3.375.000 euro per una soluzione efficace, seppure ancora parziale, dei problemi di carattere idraulico evidenziatisi nel corso degli anni.

In sintesi il progetto del Consorzio prevede la realizzazione di un volume d’invaso della capacità di 143.000 metri cubi su una superficie di 6,5 ettari, alle spalle della vasca di accumulo della centrale di pompaggio irrigua Santerno-Senio 3, in località Savoie del Comune di Castel Bolognese. L’altezza utile dell’invaso è di 3,2 metri. Sono inoltre previsti: il risezionamento dello scolo Rivalone, affluente del Canale dei Mulini, la realizzazione di un manufatto di regolazione, di uno sfioratore in destra idraulica del Rivalone, di uno scarico di fondo della cassa nello scolo Prati di Solarolo, di un manufatto sottopassante il Rivalone per il collegamento allo stesso scolo Prati e di un nuovo tracciato di quest’ultimo.
In pratica, il regolatore lungo il Canale dei Mulini serve a limitare la portata fluente a valle nel valore, calcolato di sicurezza, di 4 metri cubi al secondo. Le portate in eccesso rispetto a tale valore che si possono generare in occasione di eventi di pioggia vengono così dirottate lungo il Rivalone, appositamente risezionato, per poi essere immesse tramite lo sfioratore nell’invaso. A emergenza cessata, l’acqua invasata viene restituita al reticolo di bonifica tramite lo scarico a gravità nello scolo Prati di Solarolo.

Come è avvenuto per le altre casse d’espansione progettate e realizzate dal Consorzio di bonifica della Romagna Occidentale, è prevista anche un’azione di rinaturalizzazione all’interno dell’invaso, per attribuire all’opera una funzione accessoria in aggiunta a quella preminente idraulica. Verranno quindi realizzate zone umide permanenti per favorire l’insediamento di fauna selvatica e ricostituire elementi tipici del paesaggio testimoniati dalla cartografia storica, nonché piantumazioni di alberi accuratamente selezionati. A seguito di gara d’appalto, il Consorzio di bonifica ha già aggiudicato i lavori di realizzazione dell’opera all’impresa esecutrice. È in via di ultimazione l’intervento preliminare di bonifica degli ordigni bellici, mentre l’inizio dei lavori principali è previsto per il prossimo mese di luglio.
“Con questa opera, il territorio oltre a ricevere un consistente beneficio sotto il profilo della sicurezza idraulica si arricchirà di un ulteriore elemento di interesse naturalistico”, affermano i rappresentanti del Consorzio di bonifica della Romagna Occidentale. “È un intervento perfettamente coerente con gli scopi istituzionali dell’ente, da sempre impegnato nel creare le condizioni di uno sviluppo sostenibile nel comprensorio di propria competenza”.

LA RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE
Se lo scopo principale dell’opera riguarda la sicurezza idraulica del territorio, non va dimenticato che una corretta progettazione degli interventi di sistemazione iniziali consentirebbe di favorire una rapida ricolonizzazione dell’area da parte delle specie tipicamente legate agli ambienti umidi nel contesto italiano, fornendo inoltre una serie di benefici per la popolazione della zona, primi fra tutti il miglioramento della qualità delle acque del canale e la fruibilità dell’area umida dal punto di vista ricreazionale.
In linea generale, l’intervento di riqualificazione prevedrà la creazione di una zona umida permanentemente allagata di circa 28.000 m2, di un bosco igrofilo di circa 4000 m2 e di numerosi ambienti ecotonali costituiti prevalentemente da prati umidi e da fasce arboreo-arbustive.
Interessante sarà osservare i diversi processi successionali che avverranno nell’area, dove da un lato della cassa si avrà la messa a dimora di specie arbustive ed arboree con una concimazione di fondo, dall’altro si lascerà che le piante seguano naturali processi di colonizzazione.
Le acque transitanti all’interno dell’area umida saranno derivate dal Canale dei Mulini grazie ad uno sbarramento in corrispondenza dell’incontro di questo con il Canale Rivalone; dal Rivalone una condotta porterà circa 45 l/s in cassa.
L’area umida è divisa in quattro zone, ossia una vasca di sedimentazione all’ingresso dell’acqua, una seconda vasca ed un lungo canale lievemente meandrificato che conduce alla terza vasca. Le zone di passaggio tra questi elementi sono costituite da acque basse occupate da vegetazione palustre e, tra la seconda e la terza vasca, da due lingue di terra che vanno a creare una strettoia.
L’acqua avrà profondità di 2 m nelle zone centrali delle vasche e del canale, mentre nelle zone spondali sono previste pendenze che vanno dall’1:2 all’1:10, al fine di variare il tirante idrico ed ottenere la massima diversificazione delle comunità vegetali ed animali, con profondità medie di circa 50 cm.
Il volume totale delle acque permanenti sarà di circa 30.000 m3, con variazioni che possono essere abbastanza consistenti nel periodo di luglio e agosto, quando la derivazione delle acque sarà bloccata per rispettare il deflusso minimo vitale del Senio.

Sistemazione del bacino a finalità faunistico ambientali
Le acque entreranno nell’area umida tramite una condotta posta in prossimità dello scolmatore, nel lato nord-est della cassa. La prima vasca ha una larghezza di circa 160 m e una lunghezza variabile tra i 60 e i 70 m; il rapporto tra larghezza e lunghezza è quindi inferiore a 1:2, rispettando un parametro molto importante ai fini della fitodepurazione. La profondità è di 2 m ad esclusione delle zone spondali perimetrali ad acque basse aventi pendenza di 1:3, dallo zero dei 26 m.s.l.m. del pelo libero dell’acqua ai 24 m.s.l.m. del fondo della zona permanentemente allagata. Il volume di acqua contenuto è di circa 12000 m3 con un tempo di residenza stimato di circa 3 giorni, tempo che consente la deposizione di gran parte dei SS ed evita inoltre fenomeni di proliferazione algale.

Nella prima grande vasca è presente un’isola di circa 800 m2, posta immediatamente prima di una strettoia ad acque basse che farà da filtro tra la prima e la seconda vasca, dove si insedieranno infatti specie palustri ad alta capacità fitodepurante. L’acqua arriverà quindi nella seconda vasca, analoga alla prima ma con un’isola di dimensioni maggiori, circa 1200 m2, per poi passare lungo un canale meandriforme di circa 180 m che porta al lato sud della cassa; qui l’acqua si riversa nella terza e ultima vasca, di superficie di circa 6000 m2. L’isola più piccola sarà rialzata rispetto al pelo libero dell’acqua di circa 60 cm, mentre la seconda, di dimensioni maggiori, di circa un metro, così da favorire l’insediamento di specie arboree ed arbustive; le loro principali funzioni sono quelle di migliorare l’efficienza idraulica del sistema distribuendo i flussi su tutta la superficie della vasca e di fornire una fondamentale area di rifugio e nidificazione per tutte le specie che nidificano a terra e che possono qui trovare un’area priva di predatori come volpi e cani vaganti. Le acque profonde non permetteranno infatti a questi di accedere ai nidi, mentre le fasce di acque poco profonde (< 20 cm) immediatamente intorno alle isole saranno un importante luogo di alimentazione di diverse specie, in particolare di uccelli limicoli. Per lo stesso motivo sarebbe opportuno prevedere, tra la prima e la seconda vasca, estese zone a profondità minori di 20 cm. Il riparo necessario alla fauna sulle isole sarà garantito dalla rapida colonizzazione di queste da parte di specie appartenenti al genere Salix e Populus.

Ai fini della fitodepurazione delle acque, fondamentale risulta la determinazione dei tempi medi di residenza delle acque all’interno del bacino. Se le acque seguissero tutte lo stesso percorso e si distribuissero uniformemente all’interno dell’area umida, il calcolo del tempo di residenza medio sarebbe semplice. Tuttavia, l’acqua non si comporta in maniera lineare in un sistema complesso come quello di una zona umida ricostruita, caratterizzata da elevata diversificazione spondale, presenza di zone a diversa velocità di scorrimento e localizzati cortocircuiti idraulici. È necessario quindi prevedere, almeno nelle prime fasi di post-impianto e a vegetazione stabilmente insediata, delle prove volte a verificare tempi medi di residenza e distribuzione dell’acqua in ingresso rispetto all’intera superficie permanentemente allagata, generalmente effettuate tramite traccianti chimici.

Accesso all’area e fruibilità
Per poter garantire la manutenzione della vegetazione nei primi anni post-intervento e il controllo delle eventuali criticità presenti nell’area umida è necessario prevedere vie di accesso alla parte interna della cassa. Come detto in precedenza, gli argini dei lati sud e ovest avranno, verso l’interno della cassa, pendenze nell’ordine di 1:5 e 1:2. Questo consentirà di passare agevolmente dalla sommità arginale, dove sarà mantenuta una pista sfalciata lungo tutto il perimetro, allo specchio d’acqua in cassa. L’unica vera e propria rampa di accesso sarà creata accanto alla vasca di sedimentazione posta nella zona di inlet, sulla lingua di terra che corre tra questa e l’ultima vasca. L’argine in questa zona avrà infatti una pendenza più accentuata degli altri, nell’ordine di 1:3, tale da non consentire l’accesso dei mezzi per lo sfalcio della vegetazione, la distribuzione di acqua per le irrigazioni di soccorso e la pulizia della vasca di sedimentazione.

 

La riqualificazione ambientale è un tema centrale dell’intervento, e come dimostrato da diverse esperienze nazionali ed internazionali, la ricolonizzazione della fauna selvatica e la formazione di un ecosistema stabile portano con sé grandi afflussi di visitatori, da semplici cittadini desiderosi di staccare dalla “giungla urbana”, ad appassionati di birdwatching. Per questo sarà previsto un percorso didattico-pedonale periodicamente sfalciato, che si snoderà in prossimità degli argini, consentendo ai visitatori di osservare da una posizione sopraelevata l’intera cassa di espansione.
I numerosi benefici idraulici, ecologici e sociali derivanti dalla ricostituzione di un’area umida sono verificabili nella cassa di espansione Gambellara, inaugurata dal Consorzio nel 1998 e dove attualmente si trova uno specchio d’acqua permanentemente allagato colonizzato da numerose specie di uccelli tutelati a livello comunitario e avvistabili grazie ad una torretta progettata dal Consorzio stesso.

La cassa Gambellara dimostra come la messa in sicurezza idraulica del territorio possa essere l’occasione di restituire alla natura porzioni di territorio che, seppur di dimensioni relativamente limitate, rivestono oggi un grande valore ecologico-paesaggistico, valorizzando il territorio di pianura e rendendo possibile la convivenza tra paesaggi agricoli ad alta produttività con contesti naturaliformi. La perdita di piccole porzioni di territorio agricolo è infatti largamente compensata dai benefici ottenibili da contesti naturaliformi, tanto in termini ecologici quanto in termini economici.

Negli ultimi secoli, le zone umide sono state considerate, non sempre a torto, come ambienti malsani, terreni improduttivi rubati all’agricoltura e all’edilizia e per questo oggetto di estese bonifiche. L’Emilia Romagna rappresenta in questo senso un classico esempio di tale fenomeno; i numerosi corsi d’acqua appenninici contribuivano a creare il territorio tipico delle pianure alluvionali, interessato da continue esondazioni di torrenti e fiumi meandriformi, con conseguente formazione di vaste zone umide. La fame di terra e il problema della malaria portarono ad investire un’immensa quantità di risorse e di mano d’opera per il controllo dei corsi d’acqua e la messa in sicurezza del territorio, attraverso la creazione di nuovi canali, l’arginatura di quelli esistenti e la costruzione di numerosi impianti idrovori per il pompaggio delle acque. Se da un lato questi processi portarono al miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti della pianura, con notevoli risvolti socio-economici e sanitari, dall’altro si persero inevitabilmente numerosi habitat e si frammentarono gli areali della gran parte delle specie che un tempo colonizzavano la pianura.
Alla fine degli anni Sessanta, non restavano che pochi sparuti esempi di quello che era un tempo il paesaggio dominante, costituito da vasti boschi igrofili e zone paludose.  
È solo negli anni settanta che in Europa e in Italia si è iniziato a comprendere come tale perdita stesse portando ad un impoverimento ambientale ed alla scomparsa delle migliaia di specie indissolubilmente legate alla presenza di aree umide; queste, alle nostre latitudini, rappresentano infatti gli ecosistemi a maggior produttività primaria e a maggiore biodiversità animale e vegetale e la loro importanza, soprattutto per quanto riguarda l’avifauna, è ormai assodata.
Con la Convenzione sulle Zone Umide di Importanza Internazionale, comunemente nota come Convenzione di Ramsar, si sancisce l’impegno da parte degli stati firmatari nella ricostituzione delle zone umide e la protezione di tutte quelle esistenti. In applicazione a tale convenzione, nel 1991 nacque l’Iniziativa per le Aree Umide Mediterranee (MEDWED, Mediterranean Wetland Initiative), volta ad arrestare e invertire la perdita e il degrado delle zone umide del Mediterraneo e a mettere in opera una strategia per la loro conservazione, attraverso la mobilitazione di partner e di fondi.