Classificazione “End-Of-Waste” dei rifiuti inerti

In questo lavoro si presenta lo stato di avanzamento di un gruppo di lavoro che coinvolge diversi partner, e di cui gli autori hanno responsabilità di coordinamento scientifico, il quale ha l'obiettivo di proporre un protocollo sperimentale per la valutazione dei requisiti ambientali ai fini della classificazione dello stato "End-of-Waste" dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione e di altri rifiuti inerti di origine minerale

L’utilizzo di aggregati di origine naturale costituisce una fonte rilevante nella determinazione dell’impronta ecologica dei materiali da costruzione, i quali da soli sono responsabili di circa il 3-4% della CO2 emessa in atmosfera da sorgenti antropiche. Pertanto, ogni azione volta alla riduzione di tale impatto può rappresentare una soluzione efficace per il conseguimento di significativi incrementi della sostenibilità ambientale dei settori dell’edilizia e delle infrastrutture. In questo contesto, pertanto, l’utilizzo di aggregati di origine riciclata o industriale rappresenta una delle soluzioni più promettenti per promuovere un’economia circolare che soddisfi l’obiettivo di riciclare almeno il 70% dei rifiuti da costruzione e demolizione (C&D) entro il 2020, come richiesto dall’Unione Europea.
L’attuazione di azioni volte al riciclo di tali rifiuti è, tuttavia, fortemente limitata da vincoli di varia natura, tra i quali si citano ostacoli di tipo normativo/amministrativo ed anche un generale timore da parte degli utilizzatori finali nei confronti di proprietà chimiche, fisiche e meccaniche ritenute variabili, e pertanto di difficile quantificazione. Se da un lato la ricerca ha svolto parecchi passi avanti per promuovere l’utilizzo degli aggregati riciclati ed industriali nei materiali a base cementizia, dall’altro lato le carenze normative legate alla classificazione dello stato di “End-of-Waste” (EoW) rimangono un limite importante per un pieno raggiungimento di una compiuta economia circolare.

Gli aggregati riciclati ed industriali
Gli aggregati si classificano in base alla loro origine, che può essere naturale, riciclata o industriale (Figura 1). In particolare, gli aggregati riciclati provengono da rifiuti da C&D, che contengono tipicamente grandi percentuali di materiale lapideo inerte, calcestruzzi, laterizi, e quantità inferiori di altri materiali, quali isolanti, materiale plastico, bitume, frammenti di vetro, materiale flottante, ecc. In base alla loro composizione, possono dar luogo ad aggregati cosiddetti di tipo “A” o di tipo “B” (UNI EN 933-11:2009; UNI EN 206:2016), e che quindi possono essere applicati per la costruzione di elementi strutturali o non strutturali, in conformità con le vigenti normative. In particolare, la normativa tecnica (D.M. 17/01/2018) ne ammette l’utilizzo anche ai fini strutturali, differenziando la massima percentuale di sostituzione dell’aggregato naturale con il riciclato, in base alla classe di resistenza del calcestruzzo nel quale verrà impiegato, ed anche alla propria provenienza (e quindi, classificazione). Si sottolinea che l’impiego è ammesso nella sola frazione grossa.
La Tabella 1 riporta i range di utilizzo ammessi nel D.M. 17/01/2018.
Per quanto concerne, invece, gli aggregati di origine industriale, essi hanno origine da rifiuti non pericolosi e inerti che vengono recuperati, e pertanto non possono essere soggetti a trasformazioni fisiche, chimiche e biologiche. Fra le tipologie di rifiuto comunemente utilizzate come fonte di tali aggregati, si riportano, a solo titolo esemplificativo, alcune tipologie: scorie di fonderia da acciaieria; scorie di fusione; rifiuti del trattamento delle scorie; rivestimenti e materiali refrattari a base di carbone; provenienti dalle lavorazioni metallurgiche e non; rifiuti derivanti dalla lavorazione della pietra; rifiuti prodotti dalla lavorazione della pietra; forme e anime da fonderia utilizzate e non; scarti di ceramica, mattoni, mattonelle e materiali da costruzione (sottoposti a trattamento termico); rifiuti della produzione di materiali compositi a base di cemento; rifiuti e fanghi di cemento; miscele bituminose; etc. Il loro utilizzo è ammesso nella normativa tecnica (D.M. 17/01/2018), senza specifiche di dettaglio per quanto riguarda i massimi rapporti di sostituzione o le limitazioni nelle frazioni granulometriche.
L’utilizzo di aggregati riciclati o industriali comporta notevoli benefici da un punto di vista di sostenibilità ambientale: limita la quantità di materiale in ingresso nelle esistenti discariche per rifiuti inerti, riduce l’utilizzo di risorse non rinnovabili, determinando impatti minori dalle operazioni di cava. Inoltre, i trattamenti volti al riciclo sono generalmente meno impattanti rispetto quelli per la lavorazione degli inerti naturali. Tuttavia, è di notevole importanza soffermarsi anche sulle dinamiche correlate alla logistica e al trasporto degli stessi in relazione ai sistemi infrastrutturali presenti sul territorio: è stato, infatti, riscontrato come una scarsa copertura territoriale comporti un eccessivo incremento dell’impronta ecologica, riducendo di conseguenza il vantaggio ambientale in maniera significativa (Blengini and Garbarino, 2010; Faleschini et al. 2016). Va infine sottolineato come l’utilizzo degli aggregati riciclati o industriali non debba essere visto come una mera sostituzione dell’aggregato naturale nella progettazione dei materiali a base cementizia “green”, in quanto vi è la necessità di considerare i potenziali impatti che il loro impiego può comportare nella modifica delle miscele che li includono. Il loro utilizzo, infatti, può influenzare significativamente le proprietà meccaniche e fisiche, la lavorabilità e la durabilità della miscela (Corinaldesi 2010; Pellegrino et al. 2013), rendendo necessari opportuni accorgimenti in fase di progettazione dei mix.

Procedura per la valutazione dei requisiti ambientali: perché?
Il gruppo di lavoro costituito dal “Tavolo Tecnico Economia Circolare Infrastrutture del Forum Rifiuti Veneto”, coordinato dal dr. Devis Casetta e allargato ad esperti esterni, ha riscontrato la necessità di redigere una procedura metodologica, espressione dell’esperienza della comunità scientifica e degli operatori del settore (inclusi produttori e controllori), mirata alla verifica dei requisiti ambientali propedeutici all’ottenimento dello stato di EoW da parte dei cosiddetti “aggregati recuperati” (intesi come unione degli aggregati già denominati riciclati e industriali/artificiali) derivati dal trattamento dei rifiuti inerti. Infatti, alla luce di quanto previsto dalla legge n. 55/2019 (i.e. legge conversione, con modifiche, del D.L. n 32/2019, cosiddetto “Sblocca Cantieri”), l’adozione rapida di uno specifico decreto per i rifiuti inerti è auspicabile al fine di superare il riferimento al D.M. 5 Febbraio 1998 per l’ottenimento dello stato di End-Of-Waste, i cui criteri, essendo caratterizzati da un grado di precauzione pensato per la regolamentazione delle sole autorizzazioni semplificate al trattamento e recupero dei rifiuti, rischiano di aumentare le quantità di rifiuti inerti destinate a smaltimento a discapito del loro recupero, ostacolando di fatto il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal pacchetto delle Direttive sulla Circular Economy (851/2018/EU). In questo contesto, la necessità di sviluppare un documento condiviso fra il maggior numero di soggetti possibile risulta fondamentale per accogliere le richieste, punti di vista e approcci di tutti gli stakeholder appartenenti al settore. Il protocollo metodologico risultato di questo lavoro dovrà essere, inoltre, basato su un approccio scientifico e su riscontri sperimentali ottenuti in laboratorio o dedotti dalla letteratura.

Le linee di sviluppo del protocollo sperimentale
La procedura metodologica oggetto di discussione all’interno del gruppo di lavoro sopra citato sarà basata sia sui principi generali di precauzione e sostenibilità ambientale, sia sulla fattibilità tecnica e sulla praticabilità economica, coerentemente con quanto dettato dalle normative di settore. Le linee di sviluppo introdotte in seguito costituiscono la base per un confronto tra le varie parti interessate. L’ambizione del protocollo in oggetto è quella di poter divenire adottabile all’interno di uno specifico decreto ministeriale o in un decreto autorizzativo, e pertanto dovrà essere caratterizzato da un livello di dettaglio elevato. Per questo motivo, oltre alla definizione dei requisiti ambientali propedeutici alla cessazione della qualifica di rifiuto, il documento dovrà risultare completo di indicazioni tecniche relative alle fasi di campionamento, trasporto, conservazione e preparazione del campione, assieme alle normative tecniche da adottare per lo svolgimento delle analisi richieste e alla procedura per l’interpretazione dei risultati analitici ottenuti.
Nella fase preliminare di questo lavoro, i criteri ambientali e la procedura proposta saranno indirizzati esclusivamente al materiale denominato come “aggregato recuperato”, termine che viene adottato per indicare tutti gli aggregati di origine non naturale (sia riciclati che industriali), utilizzato in applicazioni non legate, dove l’aggregato è utilizzato sciolto. Ulteriori integrazioni riguardanti gli aggregati utilizzati per applicazioni legate (ad esempio, in calcestruzzi strutturali e non) potranno essere inserite una volta analizzate più approfonditamente le seguenti questioni i) il ruolo del materiale legante utilizzato, ii) la conduzione di un test di cessione alternativo a quello del EN12457-2 e iii) relativi limiti specifici che tengano conto delle peculiarità di queste applicazioni.
In accordo con il criterio generale per l’ottenimento dell’EoW, il protocollo proposto dovrà prevedere la valutazione degli impatti di tutti i componenti chimici costituenti il materiale sottoposto a valutazione, sia solubili che non solubili e dei relativi diversi percorsi d’esposizione.
La procedura prevede la necessità di effettuare analisi chimico-fisiche sul campione di prova solido e sul campione di estratto acquoso e introduce la possibilità di eseguire test ecotossicologici nei casi in cui i risultati dei test chimici effettuati risultassero negativi dal confronto con le specifiche soglie stabilite per l’ottenimento della cessazione della qualifica di rifiuto. In questi casi, i risultati dei biotests dovranno essere considerati gerarchicamente prevalenti sui risultati derivati dai test chimici, coerentemente con gli indirizzi riguardanti la valutazione dell’ecotossicità dei rifiuti (997/2017/EC).
La metodologia proposta prevederà l’adozione delle normative tecniche attualmente in vigore nel campo della caratterizzazione dei rifiuti. Infatti, finchè il materiale oggetto di valutazione non abbia soddisfatto tutti i requisiti EoW, esso dovrà essere necessariamente considerato ancora un rifiuto. Il possibile riferimento a normative di prodotto potrà essere valutato nel caso in cui esse non risultino meno cautelative e comunque non in contrasto con la normativa sui rifiuti.
Come conseguenza, le procedure analitiche da adottare per la conduzione dei test ecotossicologici e i relativi limiti suggeriti risulteranno indipendenti rispetto ai criteri di etichettatura stabiliti dai regolamenti europei sui prodotti e le sostanze (i.e. 1272/2008 – CLP), in coerenza con le modifiche apportate dalla Direttiva (UE) 2018/851 alla WFD 98/2008 all’art. 6 comma 5. Infatti, il comma richiamato richiede che i criteri EoW debbano essere soddisfatti precedentemente all’applicazione della normativa sulle sostanze e sui prodotti, suggerendo in questo contesto la possibilità che le condizioni stabilite per gli EoW possano essere indipendenti e precedere i criteri stabiliti dal CLP. Questo approccio è, inoltre, avvalorato dal fatto che l’applicazione dei metodi di classificazione ecotossicologica provenienti dal CLP possa dar luogo ad una valutazione meno cautelativa rispetto ai risultati derivanti dalle metodiche analitiche utilizzate per la caratterizzazione ecotossicologica dei rifiuti (HP 14) secondo l’impostazione proposta da Hennebert (2018) e da Pivato, et al. (2019). Come estrema conseguenza, un aggregato recuperato che ottenga l’autorizzazione di cessare la propria qualifica di rifiuto in accordo con le metodiche del CLP, potrebbe allo stesso tempo risultare un rifiuto con proprietà di ecotossicità (HP 14) e, quindi, pericoloso.

Sviluppi futuri e ricerca sperimentali
Il protocollo sperimentale è attualmente in discussione all’interno del gruppo di lavoro e risulta in fase di applicazione sperimentale ad alcuni casi studio (aggregati riciclati, industriali e naturali), ai fini di testarne l’applicabilità in realtà industriali.

Riferimenti
• Blengini, G. A., & Garbarino, E. (2010). Resources and waste management in Turin (Italy): the role of recycled aggregates in the sustainable supply mix. Journal of Cleaner Production, 18(10-11), 1021-1030.
• Corinaldesi, V. (2010). Mechanical and elastic behaviour of concretes made of recycled-concrete coarse aggregates. Construction and Building materials, 24(9), 1616-1620.
• D.M. 17/01/2018. Norme tecniche per le Costruzioni.
• Faleschini, F., Zanini, M. A., Pellegrino, C., & Pasinato, S. (2016). Sustainable management and supply of natural and recycled aggregates in a medium-size integrated plant. Waste management, 49, 146-155.
• Pellegrino, C., Cavagnis, P., Faleschini, F., & Brunelli, K. (2013). Properties of concretes with black/oxidizing electric arc furnace slag aggregate. Cement and Concrete Composites, 37, 232-240. Corinaldesi 2010
• UNI EN 206:2016. Calcestruzzo - Specificazione, prestazione, produzione e conformità.
• UNI EN 933-11:2009. Prove per determinare le caratteristiche geometriche degli aggregati - Parte 11: Prova di classificazione per i costituenti degli aggregati grossi riciclati.
• Pivato A., Beggio G., Raga R., Soldera V., (2019). Forensic assessment of HP14 classification of waste: evaluation of two standards for preparing water extracts from solid waste to be tested in aquatic bioassays. Environmental Forensics. In press. DOI: https://doi.org/10.1080/15275922.2019.1630517.
• Hennebert, P., (2018). Proposal of concentration limits for determining the hazard property HP 14 for waste using ecotoxicological tests. Waste Management 74, 74–85.