Dopo il Covid-19 rischiamo il disastro ambientale?

I dispositivi di protezione individuale sono entrati a far parte della nostra quotidianità, ma quanto ci costerà l'utilizzo di mascherine e guanti usa e getta in termini di impatto ambientale?

Con la fine del lockdown, la ripresa delle attività lavorative e il via libera agli spostamenti gli italiani sono tornati alla "normalità". Una normalità però scandita dalla presenza dei dispositivi di protezione individuale, mascherine e guanti, necessari per prevenire la diffusione di un virus che sebbene silente è ancora in mezzo a noi.

Secondo uno studio del Politecnico di Torino solo per la fase due saranno necessari un miliardo di mascherine e mezzo miliardo di guanti al mese. Il WWF partendo da questo dato calcola che se anche solo l'1% delle mascherine utilizzate non venisse smaltito in maniera corretta ciò equivarrebbe a 10 milioni di mascherine al mese disperse nell'ambiente. La presidentessa di Legambiente Campania Mariateresa Imparato denunciava già all'inizio di maggio un aumento degli abbandoni di mascherine e guanti: "Ci arrivano le prime segnalazioni di abbandoni per strada e nelle vicinanze di alcuni supermercati di guanti e mascherine chirurgiche monouso" aggiungendo "questi articoli sono tutti da conferire nella raccolta differenziata. Ricordiamo che i dispositivi sanitari sono molto resistenti e potrebbero durare nell'ambiente decine di anni, come accade per le buste di plastica o per alcuni flaconi di liquidi. La paura è che quindi quelli che sono stati ribattezzati come i nuovi "rifiuti da Covid" diventino a livello di impatto ambientale un problema paragonabile a quello degli altri rifiuti di plastica (bottigliette e tappi in primis) che, abbandonati e non adeguatamente smaltiti, finiscono in mare e invadono le nostre spiagge. L'organizzazione no profit Opération Mer Propre ha recentemente documentato, durante un azione di pulizia in Costa Azzurra, la presenza di Dpi nel mare. La previsione, come riportano sulla loro pagina Facebook, è che presto in mare ci saranno più mascherine che meduse. La presenza della plastica nei mari ha un forte impatto sulla vita marina minando anche la biodiversità stessa, non a caso focus principale della Giornata Mondiale dell'Ambiente di quest'anno.

La mascherina chirurgica, quella che troviamo in commercio ad un prezzo calmierato, è composta da due o tre strati di tessuto non tessuto (Tnt) realizzato con fibre di poliestere o polipropilene, mentre lo strato esterno è trattato in modo da renderla parzialmente resistente all'acqua. Essendo oggetti composti di più materiali sono i più difficili da riciclare, inoltre tenendo conto del potenziale rischio biologico sono destinati a terminare la loro vita negli inceneritori e nei termovalorizzatori. Fine vita identico anche per i guanti monouso, che a prescindere dal materiale di cui sono composti finiscono nel migliore dei casi nell'indifferenziata.

Durante il convegno "Sicurezza sanitaria e sostenibilità ambientale: la filiera italiana per contrastare il Covid-19", che si è tenuto il 26 maggio in streaming, il Sottosegretario al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Roberto Morassut commentando l'impatto che i dispositivi di protezione individuale monouso stanno avendo sull'ambiente ha dichiarato: "Per inserire le plastiche monouso in un percorso di economia circolare servirà una grande e rapida sperimentazione tecnica. C'è un problema tecnologico e normativo urgente, che richiede un processo evoluto e una rete che renda possibile un processo industriale. Le strade che abbiamo intrapreso durante l'emergenza, in accordo con l'istituto Superiore di Sanità, sono state due: da una parte, quella del riciclo energetico; dall'altra, quelle delle deroghe temporanee. Ora servirà un decreto End of Waste specifico per questo tipo di materiali. Quanto alla messa in commercio di dispositivi riutilizzabili e non monouso, potrebbe essere un'ottima prospettiva ma occorre una rigorosa verifica da parte delle autorità sanitarie scientifiche pubbliche, in un primo luogo l'ISS".

Nel frattempo il Ministero dell'Ambiente, in collaborazione con la Guardia Costiera, Ispra, Iss, Enea e la commissione Colao, ha presentato la nuova campagna di comunicazione, "All'ambiente non servono", sul corretto smaltimento di guanti e mascherine. L'invito è quello di gettare i dispositivi nell'indifferenziata, servirsi il più possibile di quelli riutilizzabili ed evitare di disperderli nell'ambiente. "Questa iniziativa - ha scritto in un messaggio istituzionale il presidente dell'ISS, Silvio Brusaferro - è un ottimo esempio di come il contrasto alla pandemia coinvolga tutti gli aspetti della nostra convivenza e richieda uno sforzo comune e coordinato. Anche in questa fase della pandemia è importante che tutti agiamo nelle prospettive dell'agenda per lo sviluppo sostenibile dove il tema ambiente, insieme a quello della salute, sono centrali". Un appello al senso civico generale affinchè #andràtuttobene possa diventare uno slogan valido anche per l'ambiente.

 

Le conseguenze del Coronavirus sul riciclo dei rifiuti industriali
Oltre al problema dato dai nuovi rifiuti da Covid-19 nei mesi di lockdown si sono registrati rallentamenti e disagi anche in altri settori del riciclo. Il Gruppo Vergero, realtà di rilevanza nazionale con sede a Torino e oltre 30 anni di esperienza nella gestione dei rifiuti industriali e agricoli, ha svolto un'analisi sul settore del riciclo dei rifiuti industriali post-emergenza Coronavirus al fine di indagare gli eventuali impatti della pandemia sulla green economy e ciò che ne emerge è una potenziale riduzione della spinta al recupero e al riciclo dei materiali industriali di scarto. "Il crollo della produzione industriale ha comportato per i mesi di marzo e aprile una caduta verticale nel conferimento dei rifiuti riciclabili, da noi stimati intorno al 65%" afferma Virginia Vergero, Responsabile Innovazione di Processi e Comunicazione del Gruppo Vergero, che aggiunge "la situazione potrebbe generare un allentamento delle attenzioni dei decisori pubblici e privati nel ridurre l'impatto ambientale degli scarti con la conversione in una nuova materia prima e, di fatto, mandare in crisi un circolo virtuoso che si è sempre più consolidato negli ultimi anni".

Anche il settore dei rifiuti urbani tessili allo stremo durante il lockdown
L'emergenza Covid-19 ha causato una situazione di grave crisi anche per il settore della raccolta differenziata dei rifiuti urbani tessili, in quanto i mercati di sbocco cui vengono successivamente inviati questi rifiuti sono rimasti fermi per più di due mesi. La gravità della situazione ha spinto Andrea Fluttero, Presidente CONAU (Associazione Nazionale Abiti Usati aderente a FISE Unicircular), a scrivere al Ministro dell'Ambiente e ai Presidenti delle Commissioni parlamentari Ambiente di Camera e Senato. Il settore della raccolta differenziata dei rifiuti urbani tessili si è sviluppato in questi anni in Italia, pur in assenza di obbligatorietà, garantendo ogni anno oltre 130.000 tonnellate di materiale raccolto, sottratto quindi a discarica o termovalorizzazione ed avviato a selezione per il riuso e il riciclo.