I principi di autosufficienza e prossimità nella gestione dei rifiuti

I principi di autosufficienza e prossimità sono due principi distinti ma che vengono normalmente regolati contestualmente. Tuttavia essi risultano autonomi, diversi e caratterizzati da presupposti profondamente differenti che li ispirano ed effetti segnatamente distanti che li connotano.
Nel nostro Stato il recepimento dell'art. 16 della direttiva 98/2008, nei limiti del principio di autosufficienza e di prossimità, è stato introdotto nell'art. 182-bis del Testo Unico Ambientale1.
Quest'ultimo prevede infatti che lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati siano attuati con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di:
• realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali;
• permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti;
• utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell'ambiente e della salute pubblica.
Quanto sopra è espressione del concetto, fatto proprio dal TUA, della gestione dei rifiuti come attività di "pubblico interesse" (v. art. 178, c.1) che deve essere svolta attuando una serie di azioni nel rispetto di una scelta gerarchica, che prioritariamente persegue la prevenzione, il recupero e, infine, in via residuale lo smaltimento.
Tale concetto, è fatto proprio dal Codice dell'Ambiente laddove, da un lato introduce il divieto di smaltire RSU non pericolosi in ambiti territoriali diversi o lontani rispetto a quelli topografici in cui vengono prodotti; dall'altro, prevede che tale divieto è temperato con il principio di prossimità degli impianti di smaltimento o recupero2.
I principi sono richiamati congiuntamente ma assumono diversi confini.
Il principio di autosufficienza risponde a logiche di autonomia e indipendenza di un sistema integrato (quello della gestione dei rifiuti urbani) territorialmente confinato (Ambiti Territoriali Ottimali) che deve garantire un servizio al cittadino, ambientalmente sostenibile, bilanciato dal pagamento di una tariffa in quanto servizio pubblico indispensabile. Tale principio vanta pertanto un'estensione orizzontale, i cui limiti sono stabiliti dalla delimitazione fisica e puntuale degli ambiti territoriali ottimali imposti dalla legge ed un'estensione verticale, che si limita all'attività di smaltimento (e non anche di recupero) di rifiuti urbani non pericolosi. Quindi condizioni univoche e predeterminabili finalizzate a sollecitare un'attivazione impiantistica riconducibile a scelte e verifiche programmatiche della P.A. che deve preoccuparsi di essere/rendersi "autosufficiente" nella gestione integrata dei rifiuti urbani del proprio ambito. Il principio di autosufficienza deve essere letto anche in negativo, nel senso che non solo rappresenta uno stimolo per le Amministrazioni a dotarsi di un sistema integrato autosufficiente di impianti adeguati ed idonei a soddisfare le esigenze del territorio (lato positivo), ma anche nel senso che la creazione di tali impianti - che garantiscono tale autosufficienza - sia protetta da influssi esterni (conferimenti extraregionali) che ne potrebbero condizionare l'efficienza (lato negativo). La seconda parte del comma 1 dell'art. 16 della Direttiva 98/2008 prevede, infatti, che "in deroga al regolamento (CE) n. 1013/2006, al fine di proteggere la loro rete gli Stati membri possono limitare le spedizioni in entrata di rifiuti destinati ad inceneritori classificati come impianti di recupero, qualora sia stato accertato che tali spedizioni avrebbero come conseguenza la necessità di smaltire i rifiuti nazionali o di trattare i rifiuti in modo non coerente con i loro piani di gestione dei rifiuti. Gli Stati membri notificano siffatta decisione alla Commissione. Gli Stati membri possono altresì limitare le spedizioni in uscita di rifiuti per motivi ambientali come stabilito nel regolamento (CE) n. 1013/2006". Il principio di autosufficienza si riferisce, da un punto di vista oggettivo, quindi, ad un sistema integrato che si basi su una serie di impianti di gestione integrata la cui varietà non può mancare intesa nel senso che l'autosufficienza impiantistica deve rappresentare uno stimolo per le pubbliche amministrazioni nel dover assumere e condurre esecutivamente scelte per ricercare l'adeguatezza e completezza dei medesimi impianti nel proprio ambito territoriale fino al raggiungimento di un equilibrio integrato tra produzione e smaltimento. Ed infatti non sembra giustificabile ricondurre univocamente i limiti del principio di autosufficienza anche alle attività di recupero riferite a ogni rifiuto.
Il principio di prossimità, invece, non sottostà agli stessi limiti territoriali coincidenti con il principio di autosufficienza, o quantomeno, non automaticamente. Quello di prossimità, infatti, è un concetto in cui il bene protetto non è il diritto del cittadino a veder raccolto e gestito il rifiuto prodotto dalla propria comunità territoriale ma un'astrazione giuridica preordinata alla generale massima limitazione della movimentazione dei rifiuti peraltro valida non solo per i rifiuti urbani indifferenziati ma anche per i rifiuti speciali proprio al fine di dimostrare la sua applicazione diffusa ed incondizionata. Il fine perseguito è quello di incoraggiare indirettamente la limitazione del quantitativo dei rifiuti prodotti vincolando gli Stati a provvedervi nel loro territorio3. La stessa lettera b) del comma 1 dell'art. 182-bis del TUA, nella misura in cui prevede che la "rete integrata ed adeguata di impianti" deve "permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti" aiuta a comprendere che tali limiti territoriali stabiliti per la delimitazione degli ATO validi per il principio di autosufficienza non sono inevitabilmente sovrapponibili a quelli utili a ritenere rispettato il principio di prossimità4. La norma sembra prescindere da tali confini sopra stabiliti dalla lettera a) del medesimo art. 182-bis per il principio di autosufficienza ove pone rilievo alle variabili di fatto ("...contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti...") che possono risultare un'eccezione alla regola dell'impossibilità di superamento dei confini dell'Ambito Territoriale Ottimale. Il concetto che tale principio possa essere declinato in maniera diversa e disgiunta dai confini di quello di autosufficienza si ricava anche dall'art. 181 comma 5 del TUA ove si legge che "Per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale ... al fine di favorire il più possibile il loro recupero privilegiando il principio di prossimità agli impianti di recupero". Anche il comma 3 dell'art. 182 ove prevede che:" È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano" conferma che il principio di prossimità vale incondizionatamente per lo smaltimento ma non negli stessi termini per il recupero ove, al contrario del primo, può superare i confini dell'ATO, regionali o nazionali. Pertanto il principio di prossimità - quanto al recupero - deve intendersi in linea teorica ed astratta come la necessità di dover preferire un impianto sedente nei confini dell'ATO in cui il rifiuto viene prodotto e raccolto rispetto ad un impianto con le medesime caratteristiche posto fuori da tali confini. La finalità del principio sembra essere quella di limitare incondizionatamente e diffusamente la movimentazione del rifiuto entro i limiti più stringenti possibili.