Depurazione delle acque nell’industria petrolchimica

Trattamento chimico-fisico, biologico e disidratazione dei fanghi: ecco spiegati i tre step fondamentali per la depurazione delle acque inquinate

Fra tutte le materie prime, senza l'ombra di dubbio l'acqua è la più preziosa ed è consumata in una maniera assolutamente esagerata; gli usi cui può essere destinata in concreto sono infiniti. In effetti, fra usi industriali, civili e agricoli, si valuta che nel mondo il consumo giornaliero sia di oltre due miliardi di metri cubi. La Terra è il Pianeta delle Acque, però il 96,5% dell'acqua che si trova negli oceani e nei mari è salata, per cui è utilizzabile solamente dopo un adeguato trattamento di desalinizzazione veramente dispendioso, mentre la piccola percentuale restante, che è costituita da acqua dolce, è la ricchezza, abbastanza limitata, che è rinvenibile nei ghiacciai, nel suolo e nelle falde acquifere, nei laghi interni (non salati) e nei fiumi, nel vapore atmosferico. Pertanto, è logico riconoscere la sua importanza e la necessità di rendere il suo consumo il più limitato possibile.

Risultato che si può raggiungere con un attento contenimento degli sprechi da un lato e nel recuperare (almeno parzialmente, se non totalmente) l'acqua che abbia già lavorato, attraverso processi depurativi, dall'altro.
Le acque reflue in tutte le loro forme, per cui anche in quelle derivanti dai processi dell'industria petrolchimica, devono essere trattate e depurate prima del loro riuso oppure del loro sversamento in corpi idrici superficiali. A queste devono essere aggiunte le acque piovane e di dilavamento di prima pioggia, che interessano le aree dello stabilimento, cioè quelle acque che formano i primi cinque millimetri di spessore sul suolo all'inizio del fenomeno atmosferico, giacché le successive ormai non contengono più in sospensione sostanze inquinanti.
La depurazione avviene in un impianto solitamente costituito da tre sezioni distinte, nella prima delle quali si ha un trattamento chimico-fisico, nel secondo biologico e nell'ultimo di disidratazione dei fanghi prodotti.

La prima sezione è formata da tre vasche. Nella prima, affluiscono le acque reflue di processo, attraverso una rete di tubazioni interne allo stabilimento; essendo lenta la movimentazione meccanica, cui sono soggette, esse hanno il tempo necessario per raggiungere una buona omogeneizzazione. In seguito, i reflui defluiscono nella seconda vasca, dove sono messe a contatto con acido cloridrico, eventuale correttore del pH e cloruro ferrico, allo scopo di favorire l'addensamento delle particelle solide in sospensione; il tutto avviene con l'intervento di adeguate pompe dosatrici. Dopodiché, i reflui, così preparati, transitano nella terza vasca dove, con l'aiuto di un veloce agitatore, sono mescolati al polielettrolito, in modo che avvenga la flocculazione delle particelle coagulate, predisponendole a una buona sedimentazione.

A questo punto, le acque sono avviate a chiarificatori, che hanno la funzione di separare il liquido, da inviare alla fase successiva, cioè all'impianto biologico, dai fanghi da far pervenire alla vasca d'ispessimento, mediante l'impiego di pompe.
L'impianto biologico è formato da un complesso dove sono effettuati il condizionamento delle acque reflue e la somministrazione di nutrienti ai microrganismi che costituiscono la flora batterica indispensabile all'operazione; qui, se necessario, si corregge il pH, per renderlo il più vicino possibile al valore della neutralità (pH uguale a 7), sì da creare le condizioni ottimali per la vita e la riproduzione dei microrganismi componenti della biomassa, mentre, nel frattempo, si fornisce la giusta dose di fosforo, sotto forma di acido fosforico, in maniera tale che si instauri un equilibrio dei nutrienti cellulari. Per non incorrere in errori da imputare a un errato dosaggio, che metterebbe a repentaglio la sopravvivenza della flora batterica, si preferisce servirsi dei necessari reagenti, sempre a concentrazione diluita. La correzione del pH, se si dovesse dimostrare essenziale, si può eseguire con il ricorso all'acido cloridrico o a soda caustica diluita.

Dopo questa sezione, ce n'è una seconda, rappresentata dal così chiamato filtro percolatore, che si dimostra il centro vitale dell'impianto biologico di depurazione. Il filtro, definito a biomassa adesa, è percorso internamente, in discesa, dal refluo soggetto al trattamento, la cui massa, distribuita uniformemente in tutti i suoi elementi/corpi, risulta totalmente irrorata. Al contatto fra la sostanza organica contenuta nell'acqua e la biomassa, si attiva la degradazione biologica per ossidazione del carico organico in condizioni aerobiche, che si fa proseguire fino a quando i valori siano compatibili con i limiti previsti dalle leggi per lo scarico. Il filtro percolatore consta di due stadi, di cui il primo, di volume doppio del secondo, s'interessa alla realizzazione della prima e più aggressiva degradazione biologica del substrato organico, mentre l'altro s'incarica di rifinire l'operazione di depurazione del carico organico.

L'acqua proveniente dall'impianto chimico-fisico è immessa in una vasca in cui sono insediate pompe centrifughe verticali, che provvedono al suo trasferimento ai collettori di distribuzione, sistemati sulla sommità del percolatore. L'acqua, dopo aver attraversato tutti i corpi di riempimento, è raccolta nella vasca da dove, dopo essere defluita superando stramazzi, è ripresa da pompe centrifughe verticali e dalla stessa mandata al secondo stadio del percolatore. L'acqua che esce dal secondo stadio, sempre attraverso stramazzi, è fatta pervenire al sedimentatore. E' una sezione che ha il compito di separare dal liquido, per sedimentazione, i corpuscoli solidi in sospensione; essi sono dovuti al meccanismo di degradazione biologica sulle sostanze organiche presenti nelle acque in fase di depurazione. Le acque chiarificate, rientranti con i loro parametri nei limiti di legge, o sono riutilizzate per i processi dell'industria di provenienza, oppure sono indirizzate alla fognatura pubblica dall'intervento di pompe.

Con l'uso di pompe, i fanghi, che si sono depositati sul fondo del sedimentatore finale, sono avviati all'ispessitore, dove sono miscelati con i fanghi provenienti dai chiarificatori presenti nell'impianto chimico-fisico. Questa miscela di fanghi (che è un rifiuto nel vero senso della parola, non essendo in nessuna maniera utilizzabile) è presa in carico dalla sezione ispessimento e presso filtratura, dove si provvede alla sua massima disidratazione. I fanghi usciti da questo processo sono pompati nelle camere della filtropressa a 10-12 bar di pressione, dove, al contatto con latte di calce preventivamente immesso, subiscono un addensamento. Ora questi fanghi non sono assolutamente più pericolosi e, pertanto, possono essere conferiti a discariche autorizzate.