Come recuperare il valore in materiali, energia e lavoro nascosti nei giacimenti urbani

Il reimpiego induce a considerare che le materie prime non sono sotto i nostri piedi o dall'altra parte del mondo, ma nelle città, negli edifici, nelle infrastrutture. Ciò porta a considerare la materia prima non più come un rifiuto da evacuare il più lontano possibile, ma come un capitale da valorizzare e preservare

GIACIMENTI E RISORSE
Un edificio rappresenta una massa importante di materiali che non trovano altra destinazione che la discarica, quando arrivano a fine ciclo vita. L'economia circolare modifica la nostra visione dei rifiuti con l'idea che tutto si possa riutilizzare, i rifiuti di uno sono le risorse di un altro. Non è sufficiente considerare le risorse primarie che noi utilizziamo per produrre dei pilastri, delle travi, dei mattoni, noi dobbiamo interessarci ai giacimenti che costituiscono le costruzioni stesse. Il potenziale di utilizzo di queste costruzioni è enorme, il che ci permette di creare delle nuove risorse ed economizzare quelle che diventano rare. L'architetto deve poter progettare minimizzando l'energia grigia. Grazie a questa restrizione nuove scritture architetturali vedranno la luce, non si agirà più solo nell'ottica di produrre per costruire, ma in quella di recuperare le risorse esistenti, capaci di dare forma a nuovi edifici.
Il reimpiego degli elementi e dei materiali da costruzione è una pratica apprezzata per le sue virtù ambientali. L'argomento ambientale comprende di fatto due registri distinti, il primo più datato dell'altro: il reimpiego come risposta al consumismo e il reimpiego come fonte di materiali a basso impatto ambientale. Partendo dai rifiuti causati dalla produzione di beni di consumo, l'ampiezza dello "zaino ecologico" che trasporta con se ciascun manufatto è rilevante; si stima ad esempio che la produzione di 1 kg di alluminio utile, generi 5 kg di i rifiuti a monte.

DIRETTIVA EUROPEA
Dal 2008 un'importante Direttiva Europea inquadra la gestione dei rifiuti. Viene fissata la ormai celebre gerarchia dei sistemi di trattamento: prevenzione / reimpiego / riciclaggio / incenerimento / messa in discarica.
In materia di riciclaggio dei rifiuti da costruzione e demolizione, la Direttiva è molto concreta fissando un obiettivo del 70% in massa. Il riciclaggio si posiziona nella parte alta della piramide gerarchica dei trattamenti dei rifiuti.
Nel settore della costruzione la frantumazione offre un importante sfogo ai rifiuti da demolizione del calcestruzzo. In realtà le benne di rifiuti inerti contengono sovente degli elementi della costruzione che potrebbero essere oggetto di reimpiego; ad esempio cordonature di marciapiedi, pietre naturali, ceramiche e qualche volta mattoni. Ciò comporta una perdita di valore d'uso, ma anche una perdita di valore di scambio.

RIFIUTO/PRODOTTO
Nel corso degli ultimi decenni, il reimpiego si è a poco a poco staccato dal quadro referenziale dei rifiuti per integrarsi in una riflessione più globale dell'economia della materia. Il rimpiego è situato a cavallo della frontiera che separa il mondo dei prodotti da quello dei rifiuti; a volte è considerato come un trattamento privilegiato degli elementi destinati alla discarica.
In realtà è una pratica che cortocircuita il passaggio da materiale a rifiuto, quindi assimilato ad una logica di prevenzione. Sul piano giuridico, gli elementi che sono smontati con cura in vista di essere rimpiegati direttamente o dopo un breve periodo di magazzinaggio, sono piuttosto considerati come dei prodotti senza necessità di un percorso per uscire dallo stato di rifiuto.

ASPETTI AMBIENTALI
Una comunicazione presentata dal Parlamento Europeo nel 2015 si intitola specificatamente "Chiudere il cerchio - Un piano d'azione della Comunità Europea a favore dell'Economia Circolare". In questo testo la costruzione e la demolizione sono considerati settore prioritari. La Commissione si impegna a prendere una serie di misure al fine di "garantire la valorizzazione delle risorse e la gestione adeguata dei rifiuti da costruzione".
La maggioranza del pensiero ambientale è d'accordo sul riscaldamento climatico in corso; al passaggio del millennio il riscaldamento climatico e la riduzione drastica dei gas a effetto serra sono diventate gli argomenti centrali nei dibattiti.
Il settore delle costruzioni è il responsabile di una parte consistente delle emissioni di gas a effetto serra. Delle politiche concrete di limitazione dei consumi energetici vengono avviate e progressivamente gli sforzi di riduzione energetici si estendono al di la' della fase d'uso degli edifici, integrando per tappe successive la fase di produzione dei componenti. Ci si rende conto che la fase di estrazione, produzione e trasporto dei materiali ha un peso sulla fattura energetica totale. Il termine "energia grigia" viene ad identificare l'energia necessaria alla produzione di un elemento, che si addiziona all'energia consumata per la fase d'uso e all'energia che sarà necessaria per il trattamento alla fine del ciclo di vita.
In altre parole la performance ambientale prende in conto l'impatto ambientale dei materiali, al di la' della performance energetica degli edifici. Fra tutti gli impatti ambientali che una analisi del ciclo di vita può analizzare, uno dei principali è il contributo che un prodotto o una tecnologia danno al cambiamento climatico; questo impatto è misurato in kilogrammi equivalenti di CO2.
Questa unità esprime gli effetti sull'atmosfera causati dai processi di estrazione, di trasporto, di trasformazione della materia compresa la fase di vita e fino a fine ciclo vita (carbone imbarcato). L'analisi di ciclo vita permette di valutare il potenziale di reimpiego di un elemento di costruzione a fine ACV e confrontarlo con la soluzione classica del trattamento rifiuti. Sarà pertanto possibile la scelta fra un materiale di reimpiego e un materiale nuovo, evitando gli impatti legati alla fase di produzione di un elemento.
Ci sono dei limiti e dei fattori che rientrano difficilmente nel calcolo dell'ACV, per esempio il valore patrimoniale e culturale di un bene, che si presta male ad essere associato ad un indicatore numerico. Un secondo limite in termini di ACV è quello che si basa su ipotesi cruciali, ma difficili da valutare: la durata di vita degli edifici e dei loro componenti. La stima della durata di vita ha in effetti una influenza diretta sulla durata dell'ammortamento dell'energia imbarcata; in funzione del parametro 5, 10 o 50 anni le risposte dell'ACV sono molto differenti.

CREAZIONE DI IMPIEGO
In un contesto economico con alti livelli di disoccupazione, l'economia circolare è sovente portata d'esempio per il suo potenziale di creatore d'impiego; già nel 1976 l'architetto e ricercatore Walter Stahel aveva predisposto uno studio intitolato "The potential for substituting manpower for energy", qui di seguito riporto alcune sue osservazioni: "circa ¾ di tutta l'energia consumata dall'industria è associata all'estrazione o alla produzione di materiali di base come l'acciaio e il cemento, mentre solo ¼ è utilizzata per la trasformazione di materiali in prodotti finiti come gli edifici".
E' esattamente l'inverso di quello che avviene per il lavoro, la trasformazione di materiali in prodotti finiti necessita circa tre volte più di manodopera che la produzione dei materiali.
In questo contesto la catena di attività necessaria al reimpiego degli elementi da costruzione (lo smontaggio, le operazioni di rimessa in stato operativo, il ricondizionamento, etc.) rappresenta effettivamente una pista promettente per creare dell'impiego, riducendo la quantità di rifiuti da demolizione. Sono questi i fattori che spiegano il recente interesse delle Autorità Pubbliche per le forme di circolarità, ma anche il ritorno del settore manufatturiero e di produzione in ambito urbano. Il rimpiego dei materiali da costruzione rappresenta in questo contesto una proposta doppiamente attrattiva, perchè promette la creazione di impiego, in particolare in un settore che è sempre rimasto tutto sommato un importante bacino di assorbimento di manodopera.
La proposta di Stahel di sostituire la manodopera all'energia è applicabile nella contrapposizione demolizione classica /deconstruzione utilizzando spesso il rapporto 1:7 per descrivere la differenza. Ciò significa che in un cantiere di pari importanza la deconstruzione richiede circa 7 volte di più di manodopera che la demolizione. Le nuove pratiche di demolizione selettiva modificano questo rapporto. Il rispetto degli obblighi di riciclaggio richiede un lavoro più attento a livello di trattamento differenziato delle frazioni.

CARBONE IMBARCATO
Per quanto riguarda l'impatto ambientale degli elementi della costruzione si parla di "carbone imbarcato" in quanto si fa riferimento alle conseguenze ambientali provocate dalla produzione di un elemento da costruzione. Demolire gli edifici e i loro componenti è in qualche modo come dilapidare un investimento anteriore, cioè dissipare l'energia grigia che contengono i materiali. I rivestimenti in ceramica presenti in un edificio sono stati prodotti in un forno alimentato a carbone fossile le cui emissioni di CO2 sono state introdotte in atmosfera molto tempo fa.
La stessa cosa vale per i mattoni, anche se le temperature del forno sono più basse, ma anche per le pietre naturali per le quali l'estrazione, il taglio, i trattamenti di superficie e il trasporto hanno ugualmente comportato il consumo di quantità importanti di energia. Tutti i materiali contengono una certa quantità di energia grigia, che si può misurare attraverso l'analisi del ciclo di vita.
Una breve divagazione riguardante il pensiero Aristotelico. Aristotele pensava che tutti i corpi che si possono trovare nel mondo del percepibile, sia vivi o no, nascano dall'incontro fra un principio di materia (hylè) e un principio di forma (morphè), questa concezione dell'esistenza è oggi descritta come hylèmorfismo. In questo quadro di pensiero, il principio di forma è assolutamente necessario. E' la forma che permette al principio di materia onnipresente (materia prima) di rientrare nel mondo del percepibile. Nel contesto dell'economia circolare una forma data deve essere considerata come un capitale; più questo capitale è sofisticato, più si aprono delle opportunità che conviene preservare. Una trave di legno di 5 metri offre più reimpieghi che una trave da 2,5 metri. Nello stesso modo la forma di un mattone cotto imbarca più energia grigia di un mattone crudo, ma anche un lavoro di "informazione" pertanto la forma offre più opportunità e merita di essere considerata un capitale prezioso. Questo approccio permette di considerare gli elementi da costruzione non solamente sotto l'angolo dell'energia che consumano e degli impatti che provocano, ma anche del lavoro, dell'intelligenza e della manipolazione esperta di cui sono i frutti. Nel migliore dei casi la logica del reimpiego permette di conservare intatti questi differenti capitali.

GESTIONE DELLE RISORSE URBANE
L'idea centrale del principio di reimpiego è quella di considerare la città come un serbatoio di materiali o meglio una gigantesca cava composta da una successione di strati di materiali sedimentati.
Di conseguenza lo stock urbano dovrà essere gestito nello stesso modo in cui si estraggono i minerali, le pietre o altre risorse naturali con una preservazione del valore e la creazione di impiego poco o per nulla qualificato. Una concezione alternativa tende a presentare la città come un vasto organismo vivente animato da una attività metabolica; la città diviene una entità che consuma dei flussi di materiali che vengono assimilati e poi rigettati. Delle espressioni oggi correnti nella letteratura scientifica quali "lo stock antropico", il "giacimento urbano" o ancora "il costruito come sorgente di nuovi materiali", indicano bene che questi concetti sono stati assimilati. Una complicazione nella gestione degli stock urbani proviene dal fatto che i materiali da costruzione riutilizzabili non sono presenti in aree concentrate, ma al contrario ampiamente disperse, perchè ripartiti in edifici appartenenti a proprietà diverse.
Il recupero dei materiali richiede una moltitudine di conoscenze differenti, una rete di attori competenti e flessibilità per raggiungere l'obiettivo; in confronto ad una demolizione convenzionale lo smontaggio degli elementi da costruzione limita i rumori, meno polvere e meno inquinamento. Il reimpiego può richiedere aree di stoccaggio importanti, sia per le operazioni di pulizia e rimessa in esercizio che per la presentazione a nuovi acquirenti. Idealmente questi siti dovrebbero essere integrati nella città per facilitare e ridurre gli spostamenti tra il cantiere, il deposito e i siti di rimessa a nuovo. Come determinare se un materiale è riutilizzabile? Una risposta a questa domanda potrebbe essere quella di considerare che ogni elemento è riutilizzabile dal momento che esiste una domanda di reimpiego. In questa affermazione c'è un po' di tuttologia, cioè considerare la possibilità di scegliere tra ciò che merita di essere smontato in vista di un rimpiego e ciò che non ha alcuna chance di trovare un nuovo utilizzo. Si tratta di un approccio sensato sotto un punto di vista economico, perchè permette di evitare di fare degli investimenti a perdere.

A lato degli aspetti economici e tecnici sui quali è possibile confrontarsi restano una multitudine di fattori che gli esperti del potenziale riutilizzabile valutano secondo altri registri. Alcuni di questi fattori non si misurano con indicatori numerici, ma piuttosto con la capacità di valutazione basata sull'esperienza, l'intuizione, il buon senso.
La ripetività degli elementi gioca un ruolo chiave per il riutilizzo dei materiali; un piccolo lotto di materiali presente in un edificio è senza dubbio poco interessante da smontare, mentre se si ritrova in ricorrenza su diversi edifici, il recupero diviene interessante.
Nell'economia circolare della costruzione e (de)costruzione la prospezione assume un aspetto centrale dell'attività con l'utilizzo di tecniche all'avanguardia e metodi scientifici. Nel caso di reimpiego dei materiali da costruzione si richiedono capacità di osservazione e di deduzione per ottenere il miglior risultato dal giacimento. Il lavoro di inventario dei materiali è necessario prima di qualunque operazione in quanto solo una identificazione preventiva permette di stendere un documento che giustifichi il reimpiego stesso.
Esiste un importante collegamento tra l'identificazione di un potenziale per il reimpiego e il profilo di chi si occupa dell'inventario: un rivenditore di materiali vede del potenziale nel 75% dei casi, il consulente nel 62% dei casi, un imprenditore edile vede del potenziale nel 31% dei casi, il 22% è il parametro di un demolitore e solo il 5% nel caso del committente che si occupi direttamente dell'inventario. Questi numeri dimostrano chiaramente che il potenziale di reimpiego varia molto in funzione del soggetto che redige l'inventario. Ciò a conferma dell'importanza di disporre di attori capaci di decrittare il valore dei materiali nascosti nel giacimento urbano.
Lo sviluppo di un settore di reimpiego solido e professionale dipende in modo cruciale da queste valutazioni. Delle stime troppo pessimiste, incapaci di reperire i prodotti da costruzione riutilizzabili, tenderanno ad annacquare tutte le velleità di sviluppo del settore. Al contrario, stime troppo ottimiste o prese superficialmente rischierebbero di portare a delle situazioni indesiderabili, che a medio termine avrebbero l'effetto di minare la credibilità del settore.